Ho trascorso
quasi tutta la mia infanzia, fino ai 12 anni, in una piccola casa di via B.
Rotondi, l’ultima abitazione in quella che un tempo era la periferia del
paese. Subito dopo iniziava la campagna e 500 dopo metri veniva la masseria degli Iarrobino.

L’orizzonte di un bambino di
quei tempi era assai meno vasto di quello di un bimbo di oggi, ma, proprio
per questo, dimensioni e distanze sembravano assai più dilatate.
A me pesava terribilmente
il fatto di abitare tanto lontano ( 200 metri) dal centro e di non avere
un coetaneo che vivesse vicino, con il quale poter giocare negli spossanti
pomeriggi d’estate. In verità nel piano interrato di casa mia abitava una
ragazza di un paio di anni più grande di me, ma, come tutte le bambine,
amava giocare con le bambole e non con pistole,fucili e frecce.
La noia,
come la felicità, era una costante di quel periodo; ma se è vero che essa è
la madre di tutti i vizi, è anche assai propizia a generare sogni
fantastici. Condannato ad un isolamento totale ( si fa per dire), avevo
sviluppato una discreta fantasia, necessario contrappeso alla
frustrazione che provavo ogni qualvolta cercavo di “guidare” un cerchio di
ferro, come invece facevano magistralmente i miei coetanei.
Molto del mio
tempo lo trascorrevo seduto davanti al portone, aspettando che terminasse
la maledetta “controra”, vale a dire quel lasso di tempo che va da
mezzogiorno alle cinque, durante la quale, in estate, era inconcepibile che
una persona normale si facesse vedere per le strade del paese.
La controra stava
all’infanzia come la dittatura sta alla democrazia ( volendo parafrasare
una celebre equazione di Mafalda), perché in quei tempi non c’era la
televisione e quelle ore erano davvero interminabili.
Ma sto divagando troppo!
Come dicevo, passavo molto tempo seduto da solo sullo scalino del portone di
casa e non potevo fare a meno di non osservare un edificio che dalle Costarelle
mi sovrastava come una fortezza, della quale aveva perfino le sembianze, con
un primo muraglione, un fossato ( la rimessa di Itomma), un secondo muro di
difesa ( l’orto) ed, infine, il palazzo di tre piani, abitato all’epoca da
quattro o cinque famiglie.
Incastonato nelle mura,
all’altezza del secondo piano c’erano due “mascheroni“, che si distinguevano
nettamente da molto lontano.

I mascheroni sono
delle sculture di pietra che avevano una funzione scaramantica e servivano a
proteggere le case dall’invidia, dalle maldicenze e dalle fatture. A Torre
se ne possono trovare ancora diversi, alcuni dei quali probabilmente
trafugati nei secoli passati da qualche sito archeologico locale. I due
mascheroni raffiguravano un leone e quello che appariva ai miei occhi come un antico
egizio. Spesso mi domandavo se l’egizio avesse ucciso il leone o era
stato da esso divorato. Talvolta arrivavo alla consolante conclusione che la bestia e
l’uomo fossero amici e che insieme girassero in armonia per il deserto
.
Dopo il terremoto del 1980
quella casa fu abbattuta e successivamente ricostruita, ma senza i
mascheroni. L’interesse per quelle sculture mi è rinato mezzo secolo
più tardi,
quando scoprii che quella era stata la casa della famiglia di Eduardo (
Edward) Ardolino, lo scultore del nostro monumento ai Caduti e di tante
altre pregevolissime opere in U.S.A..
Dopo tantissime ricerche, quasi
banalmente, seppi che le due sculture non erano state saccheggiate durante
quel periodo di ebbrezza devastatrice, che comunemente è chiamata
“ricostruzione post terremoto", ma che erano ancora custodite dall’attuale
proprietario dello stabile: Geppino Luongo.
Curiosamente, però, il
proprietario non
riconosceva nella scultura un egiziano, bensì un nativo americano, un
indiano. Quando ho
potuto finalmente fotografare le due figure ho avuto una doppia sorpresa:
Il volto non rappresentava né un egizio, né un indiano come sosteneva Geppino, ma sicuramente un principe.
Il viso regale, nobile ed austero era incorniciato da lunghi capelli ondulati,
fermati da
una corona regale che cingeva la testa.
Tuttavia fu il leone a
sorprendermi perché aveva una caratteristica del tutto diversa dalle altre
sculture di leone che si trovano a Torre le Nocelle: era stato scolpito con gli
occhi chiusi: morto o dormiente.

A questo punto mi sono reso
conto della grandezza dei nostri vecchi artigiani, della loro cultura e di
quanto fossero superiori a quei pochi che restano ai nostri giorni. La
miseria non impediva loro di avere delle conoscenze classiche. Anzi…!
Raffaele Ardolino, figlio di scalpellino, nato nel 1869, cugino di Eduardo,
fu mandato a studiare Belle Arti a Firenze...e nella vita fece lo
scalpellino, anche se sarebbe il caso di definirlo scultore. E
forse non a caso Edoardo Ardolino alla domanda che gli fu rivolta da
un funzionario doganale americano circa il suo lavoro rispose di essere
"sculptor".
Il leone non era stato
scolpito in quel modo, tanto per caso, ma era invece complementare al volto
di principe. Tramite il leone si voleva svelare l’identità del principe.
Allora quale personaggio
storico o leggendario è legato alla simbologia del leone morto o dormiente?
I candidati sono cinque:
- Il principe Gilgamesh. Ma
è da scartare perché nell’unica iconografia esistente del Museo del
Louvre è rappresentato, mentre strozza un leone, con barba (assira: lunga e
con
boccoli), mentre il nostro soggetto ne è privo.
- Sansone, anch’ egli
gran strozzatore di felini. Era giudice di Israele,
ma nel Midrash veniva considerato alla stregua di un
principe ( oltretutto apparteneva alla tribù di Giuda, la stessa di
Davide e Cristo).
- Alessandro Magno: dopo il taglio
del “Nodo Gordiano” sottomette l’Egitto che era rappresentato come un
leone domato ( il riferimento è alla Sfinge). Il volto assomiglia non poco
ad alcune statue ellenistiche del grande condottiero.
- Davide, da pastore, aveva
ucciso dei leoni ed inoltre era l’antenato di Gesù. Nella simbologia
medievale il leone dormiente rappresentava il Cristo morto ( ma vivo nella
Resurrezione).
Infine, ultimo possibile
candidato, Cheope. Non bisogna dimenticare che la Sfinge rappresenta il
grande faraone col corpo di leone, che se ne sta accucciato a sfidare
l’eternità delle stelle.
Il fatto che da bambino
vedevo un volto egiziano è un’ inspiegabile inconscia sensazione!
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